ROMA. Continuare ad inondare le nostre bacheche di matite e vignette, purtroppo non servirà a molto. La satira e la dissacrazione sanno esprimere la libertà di una cultura e di un popolo da idoli di varia sorta, ma mai realizzarla positivamente. La libertà è una condizione che si raggiunge nel darsi una norma, nel rispettarla e nel farla rispettare, e negli ultimi vent'anni l'occidente si è avvitato in una drammatica crisi della governamentalità, di cui non solo i fatti di Charlie Hebdo sono l'espressione chiara. Quanto è accaduto e quanto si teme accadrà, è il risultato di una
clamorosa contraddizione occidentale. Per una serie di vicissitudini politico-culturali siamo divenuti incapaci di normare in base a principi nostri e saldi i processi di integrazione, di stabilire delle condizioni. A partire dalla crisi di quelle forme di imperialismo che hanno concesso per secoli all' Europa lo statuto di un mondo autonomo, anche in terra altrui, tentiamo di recuperare l'universalità perduta intessendo discussioni di principio, dispute sugli universali dell'identità e della differenza che non colgono la contingenza e la fattualità con cui dovremmo realmente confrontarci.
Di contro, mascheriamo questa crisi esportando con le armi, in altre aree, quel governo che non siamo in grado di esercitare all'interno. È un immunitarismo alla rovescia, che devolve implicitamente ad altri la capacità del sistema di mantenersi stabile; è un'eterostasi che camuffa con la trame della politica estera la vaghezza di quella interna. Ora, il terrorismo vive di azione e si nutre di questa ambiguità, di questa assenza di istituzione, di governo, di posizione. Per questo, purtroppo, non si combatte con le matite. Il terrorismo lo combattono le decisioni: quelle decisioni complesse, storiche e prese in tempo che determinano un buon governo del mondo, qui e ora. In un sistema come quello odierno chi amministra un territorio ha la funzione, e per questo il diritto e il dovere, di attuare politiche gestionali e di monitoraggio, anche culturale, delle popolazioni. Con tutto il rispetto per le tante persone, musulmane e non, che si integrano pacificamente nelle comunità di tutto il mondo, parlare di multiculturalismo come se l'integrazione fosse una faccenda facile, immediata, non prodotta da un piano di azione che passa per istituzioni e apparati della politica, radicata in qualche vaga simpatia reciproca dell'uomo per l'altro uomo, è fare discorsi da anime belle che offrono al fondamentalismo e ad altri crimini delle autentiche praterie.
#SCF